6 novembre – Il ricordo di un Grande Italiano – 12 anni fa ci lasciava Enzo Biagi – Dal giornalismo partigiano all’Italia del “Fatto”, passando per l’Editto Bulgaro…

 

Enzo Biagi

 

 

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6 novembre – Il ricordo di un Grande Italiano – 12 anni fa ci lasciava Enzo Biagi – Dal giornalismo partigiano all’Italia del “Fatto”…

Il 6 novembre del 2007 ci lasciava Enzo Biagi

 

Buonasera, scusate se sono un po’ commosso, e magari si vede. C’è stato qualche inconveniente tecnico e l’intervallo è durato cinque anni. C’eravamo persi di vista, c’era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro. Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall’ultima volta che ci siamo visti sono accadute molte cose e per fortuna qualcuna è anche finita. Ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere a qualcuno, e noi non siamo piaciuti.

[Aprendo la prima puntata della trasmissione RT – Rotocalco Televisivo del 22 aprile 2007, dopo 5 anni di assenza dalla televisione per l’Editto Bulgaro emanato dal regime berlusconiano]

 

Volle che fossero le note di “Bella Ciao” ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio, fuori dalla piccola chiesa di Pianaccio, suo paese natio nel Bolognese. Antifascista e partigiano, Enzo Biagi trovò nell’informazione, come sul fronte dell’Appennino, il suo territorio di Resistenza. È la sua voce, entrando a Bologna con le truppe alleate, ad annunciare la fine della guerra ai microfoni radio il 21 aprile 1945 e a raccontare per oltre 40 anni l’Italia in televisione e sui giornali. Scoprì giovanissimo la passione per la scrittura tanto che un suo tema scolastico arrivò tra le mani del Papa. Successivamente la concretizzò nel giornalismo: «Ho sempre sognato di fare il giornalista. Lo immaginavo come un “vendicatore” capace di riparare torti e ingiustizie ed ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo». Obiettivo centrato, Giorgio Bocca arrivò a definirlo il «primo cronista globale del Novecento».

Tra carta stampata, radio e tv, l’intervista e il ricorso alle citazioni restano la cifra professionale di Biagi. Scriveva a mano, di getto, riempiendo block notes, «ispirato, senza ripensamenti e correzioni. Non l’ho mai visto gettare un foglietto nel cestino», ricorda la sua segretaria. Una scrittura che Indro Montanelli definì «regolarmente rapida, sàpida, spesso tagliente, sempre incisiva».

Per sua stessa ammissione, in più fasi della sua vita professionale fu «l’uomo sbagliato al posto sbagliato». Con una copertina sull’assassinio di Wilma Montesi, ad esempio, nell’aprile del 1953 riuscì a far guadagnare al giornale in due settimane circa novantamila copie e a conquistare sul campo il titolo di direttore. I “Sette poveri inutili morti” tra gli operai delle officine emiliane caricati dalla celere sotto il governo Tambroni, invece, gli costarono il posto: il ministro in persona chiese all’editore Mondadori la sua testa. Con l’arrivo in tv negli anni ’60 – come direttore del tg e fondatore di Rotocalco televisivo – la situazione non cambiò: attaccato da destra per il suo presunto “non essere allineato all’ufficialità” e pressato da sinistra. Biagi volle un telegiornale completo, «vicino alla gente, che fosse al servizio del pubblico non al servizio dei politici». Non troppo dissimile la parentesi alla direzione de Il resto del Carlino che si concluse, a giugno 1971, in meno di un anno dopo un’aspra polemica con l’editore Attilio Monti sulla visibilità da dare alle attività del ministro delle finanze Luigi Preti.

Diverse le testate con cui collabora e che, in molti casi, dirige (Il Resto del Carlino, La Stampa, Oggi, L’Europeo, etc) ma sono senza dubbio la televisione e le sue inchieste a dargli la notorietà con il grande pubblico. Con Il fatto dal 23 gennaio 1995 ogni sera portò nelle case degli italiani personaggi ed eventi. Anche questa nuova avventura lo vide nelle vesti di voce scomoda: «L’accusa verso di me è sempre stata la stessa: Biagi è un comunista. Forse deluderò qualcuno e qualcuno, invece, sarà felice: non sono mai stato comunista, sono solo un vecchio socialista. Ed è incredibile che quell’accusa mi abbia accompagnato fino a ottantadue anni, quando ancora una volta, ho pagato per le mie idee». È il 18 aprile 2002 e Il fatto ha all’attivo oltre 700 puntate quando l’allora presidente del consiglio Berlusconi lancia l'”editto Bulgaro”: Biagi, Santoro e Luttazzi vanno fermati, «quello che hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. È preciso dovere da parte della nuova dirigenza non permettere più che questo avvenga». A scatenare le ire del Cavaliere le interviste a Benigni e la parodia dell’annuncio della seconda discesa in campo berlusconiana e le dichiarazioni di Montanelli contro il centro-destra. Al termine della stagione, la Rai cancellò il programma e il giornalista, dopo lunghe polemiche, decise di non rinnovare il contratto con l’emittente. Dopo un «intervallo durato cinque anni», Biagi tornò in televisione con RT – Rotocalco televisivo il 22 aprile 2007 con una puntata dedicata alla resistenza, storica e contemporanea, per sole sette puntate a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute di Biagi che il 6 novembre morì a 87 anni.

tratto da: https://www.unisob.na.it/inchiostro/index.htm?idrt=8421

6 novembre – Il ricordo di un Grande Italiano – 12 anni fa ci lasciava Enzo Biagi – Dal giornalismo partigiano all’Italia del “Fatto”, passando per l’Editto Bulgaro…ultima modifica: 2018-11-05T21:55:14+01:00da eles-1966
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