Gianni Minà: “Ecco perché Fidel Castro non è stato un dittatore”

 

Gianni Minà

 

.

SEGUICI SULLA PAGINA FACEBOOK Banda Bassotti

.

.

Gianni Minà: “Ecco perché Fidel Castro non è stato un dittatore”

Gianni Minà: «Io, Fidel e quell’intervista di 16 ore. Vi spiego perché non è stato un dittatore»

Lo scrittore e saggista, autore di trasmissioni storiche della Rai, ha conosciuto il lider maximo meglio di molti altri giornalisti occidentali.

 Gianni Minà, scrittore e saggista, autore di trasmissioni storiche della Rai («Blitz», solo pe fare un esempio, ma fu anche tra i fondatori de «L’altra domenica») ha conosciuto Fidel Castro meglio di molti altri giornalisti occidentali.
«Il comandante» gli rilasciò due interviste televisive (poi trasferite nei suoi libri): la più famosa è quella, fluviale, del 1987 perché durò sedici ore, tutte registrate, un record imbattuto nella storia della Rai.
Ma come andò, Minà?
«Stavo realizzando una serie di interviste con i presidenti dell’America Latina. Attendevo a Cuba da dieci giorni la possibilità di incontrare Fidel Castro. Avevo già pronte ben ottanta domande avevo preparato insieme all’amico Saverio Tutino, grande intellettuale e giornalista, ex partigiano, che fu corrispondente dell’America Latina. Mi aiutò molto, i quesiti erano puntuali, mai banali. Venni convocato. Chiesi subito a Fidel se per caso volesse sapere prima le domande, come fanno sempre i capi di Stato e molti interlocutori. Mi diede una risposta che non dimenticherò: “Con la storia che abbiamo, possiamo aver paura delle parole? Risponderò a tutte le domande”. Capii subito che non sarebbe stata una navigazione facile. Finimmo alle 6 del mattino, rischiai di perdere l’aereo per il Messico dove avevo fissato un appuntamento col presidente di quel Paese».
Intorno a Minà (che sta presentando in Italia il suo film documentario «Papa Francesco, Cuba e Fidel», che racconta la visita del Pontefice nell’isola caraibica dal 19 al 22 settembre 2015), le tracce di una vita professionale. Molti premi, tra cui il Kamera della Berlinale alla carriera, il più prestigioso per i documentaristi. Sulla parete, i ritratti della moglie e delle due figlie di Minà firmati dal pittore messicano Omar Cuevas Manueco. Racconta Minà «che allora si girava in pellicola a 16 millimetri, e il materiale della Rai stava per finire. C’era con Fidel il suo assistente che improvvisamente sparì e tornò con un cartone pieno di pellicola giapponese dell’archivio cinematografico delle Forze armate rivoluzionarie».
Mangiaste qualcosa in quelle sedici ore?
«Noi qualche panino. Fidel molto tè tiepido e basta. Ricordo che l’intervista si trasformò in un vero e proprio happening, vista la lunghezza».
Se si chiede a Minà quale sia stato il particolare che lo colpì di più, risponde così: «Capii che non si sarebbe alzato da quella sedia se non avesse finito di parlare di Che Guevara. Gli dedicò cinquanta minuti».
Fidel Castro, lo ha ricordato la stampa italiana e straniera, ha anche imprigionato molti dissidenti, intellettuali, omosessuali. Lei ebbe la sensazione che Fidel lo ammettesse?
«Vorrei dire che a Cuba avviene ciò che succede anche in tanti Paesi occidentali….ammetteva che la Cia lavorava nell’ombra a Miami, organizzando anche molti atti terroristici nell’isola. Molti responsabili sono ancora vivi e non sono mai stati processati, non credo sia una bella pagina nella storia degli Stati Uniti…».
Però anche Pietro Ingrao su «Liberazione» definì Cuba «una pesante dittatura», e tutto era, Ingrao, tranne che un uomo di destra…
«Ingrao è stato un padre della sinistra, un grande politico e intellettuale.
Ma in quel caso scrisse senza conoscere la realtà, non sapendo come stavano le cose. Mi dispiace dirlo, ma dette un giudizio superficiale. Per criticare, occorre sapere. Io ho diretto per quindici anni la rivista «Latinoamerica e tutti i sud del mondo» e ho ospitato molte voci del dissenso. Ma parlando dall’interno dell’isola».
Per Cuba, secondo Minà, si deve parlare di rivoluzione tradita o attuata?
«Sicuramente non tradita. Funziona un sistema che assicura alla gente la casa, il cibo, la sanità pubblica uguale per tutti, l’istruzione, la cultura. Oggi sarebbe uno dei tanti Paesi dell’America Latina che attendono che almeno qualcosa cambi, anche di poco, ma cambi. Invece a Cuba funziona, per fare un solo esempio, un centro di ingegneria genetica all’avanguardia nel mondo. Così come Cuba può inviare i suoi atleti alle gare internazionali e alle Olimpiadi, e in molti casi vincerle».
Minà è convinto che con la morte di Fidel Castro a Cuba non cambierà niente:
«No, sull’isola non credo ci saranno contraccolpi. Sarà Trump a doverci dire se vuole ringraziare quelli che, a Miami, hanno pagato parte della sua campagna elettorale. Cuba ha avuto e ha attori politici che sono entrati nella storia e hanno acquisito una grande credibilità. Ci sarà una ragione se papa Francesco ha voluto incontrare Fidel nella sua abitazione privata a Cuba durante il suo viaggio. E ci sarà sempre una ragione se proprio lì papa Francesco e il Patriarca Kirill hanno raggiunto un’intesa dopo mille anni di divisioni. Il Vaticano ha una visione ben diversa di Cuba rispetto a quella presentata da tanta stampa occidentale».
A proposito di papa Francesco, Minà: lei pensa che Fidel possa essersi convertito –lui, ex alunno dei gesuiti- in punto di morte?
«Su questo punto, l’ultima volta in cui ci siamo visti, nel settembre 2015, è stato chiaro. Non ha mai usato la parola fede. Mi ha detto: “Sono stato educato da un’altra cultura. Poi ho incontrato questa, con cui tuttora vivo”. No, direi proprio nessuna conversione…»
tratto da: http://www.corriere.it/video-articoli/2016/11/27/gianni-mina-io-fidel-quell-intervista-16-ore-vi-spiego-perche-non-stato-dittatore/caf59546-b4ad-11e6-87d0-f5151dd4f2bc.shtml
Gianni Minà: “Ecco perché Fidel Castro non è stato un dittatore”ultima modifica: 2018-04-01T12:59:14+02:00da eles-1966
Reposta per primo quest’articolo