Che Guevara: “Cosa dev’essere un giovane comunista”

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Che Guevara: “Cosa dev’essere un giovane comunista”

Cosa dev’essere un giovane comunista *

Ernesto Che Guevara | Opere vol. 3 tomo 2, Nella fucina del socialismo, Feltrinelli, pag 86
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
In ricordo (14/06/1928 – 09/10/1967)

20/10/1962

Cari compagni,

uno dei compiti pili grati, per un rivoluzionario, è di osservare nel trascorrere degli anni di rivoluzione come si vanno formando, affi­nando e rafforzando le istituzioni nate all’inizio della Rivoluzione; come quelle organizzazioni che iniziarono su piccola scala, con molte difficoltà, con molte indecisioni, si vanno trasformando, me­diante il lavoro quotidiano e il contatto con le masse, in possenti rap­presentazioni del movimento rivoluzionario di oggi, in vere istituzioni con forza, vigore e autorità fra le masse.

L’Unione dei Giovani Comunisti, attraverso le varie denomina­zioni, attraverso le varie forme di organizzazione, ha quasi la stessa età della nostra Rivoluzione. All’inizio fu un’emanazione dell’Esercito Ribelle, e da li forse veniva anche il suo nome. Era un’organizzazione legata all’esercito per iniziare la gioventù cubana ai compiti massicci della difesa nazionale, che era il problema più urgente e che necessitava della soluzione più rapida possibile.

Nell’ex Dipartimento dell’Istruzione dell’Esercito Ribelle (1) sono na­te l’Associazione dei Giovani Ribelli e le Milizie Nazionali Rivoluzio­narie. In seguito hanno acquistato una propria vita autonoma. La pri­ma come organizzazione destinata al progresso politico della gioventù cubana (2), la seconda come una possente formazione del popolo armato, rappresentante del popolo armato e con caratteristiche proprie, fusa col nostro esercito nei compiti di difesa.

Dopo, quando con il consolidamento della Rivoluzione potevamo porci i compiti nuovi che si vedevano all’orizzonte, il compagno Fidel Castro suggerì il cambiamento della denominazione di questa organiz­zazione. Un cambiamento di denominazione che è tutta un’espressione di principi. L’Unione dei Giovani Comunisti è direttamente orienta­ta verso il futuro. È strutturata in vista del futuro luminoso della società socialista, quando il periodo difficile, in cui siamo ora, della co­struzione di una società nuova sarà superato, quando si intraprenderà il cammino del rafforzamento totale della dittatura di classe, espresso attraverso la società socialista, per arrivare infine alla società senza classi, alla società perfetta che voi sarete incaricati di costruire, di o-rientare e di dirigere in futuro.

Per questo l’Unione dei Giovani Comunisti innalza i suoi sim­boli, che sono gli stessi simboli di tutto il popolo di Cuba: lo studio, il lavoro e il fucile.

E per questo nei suoi distintivi sono raffigurati due dei più alti esponenti della gioventù cubana, ambedue morti tragicamente senza poter vedere il risultato finale di questa lotta in cui tutti siamo impe­gnati: Tulio Antonio Mella e Camilo Cienfuegos.

In questo secondo anniversario, in quest’ora di costruzione febbri­le, di costanti preparativi per la difesa del paese, di preparazione tec­nica e tecnologica accelerata al massimo, si deve porre sempre, e prima di tutto, il problema di cos’è e cosa deve essere l’Unione dei Giovani Comunisti.

L’Unione dei Giovani Comunisti deve definirsi con una sola pa­rola: avanguardia. Voi, compagni, dovete essere l’avanguardia di tutti i movimenti. I primi nei sacrifici che la Rivoluzione richiede, di qua­lunque tipo essi siano. I primi nel lavoro. I primi nello studio. I primi nella difesa del paese.

E porvi questo compito non solo come l’espressione totale della gioventù di Cuba, non solo come un compito di grandi masse struttu­rate in una istituzione, ma come il compito quotidiano di ognuno dei componenti dell’Unione dei Giovani Comunisti. Per questo bisogna porsi compiti reali e concreti; compiti di lavoro quotidiano che non possono ammettere il minimo rilassamento.

L’organizzazione deve essere costantemente unita a tutto il lavoro che si sviluppa nell’Unione dei Giovani Comunisti. L’organizzazione è la chiave che permette di afferrare le iniziative che sorgono dai capi della Rivoluzione, le iniziative che il nostro Primo Ministro imposta in ripetute occasioni e le iniziative che sorgono dallo stesso seno della classe operaia, che devono anche trasformarsi in direttive precise, in idee precise per l’azione susseguente.

Se non c’è l’organizzazione, le idee, dopo il primo impulso, van­no perdendo efficacia, cadono nella routine, nel conformismo e fini­scono per essere semplici ricordi.

Faccio questa avvertenza perché molte volte in questo breve e tut­tavia cosi ricco periodo della nostra Rivoluzione, molte grandi inizia­tive sono fallite, sono cadute nell’oblio per la mancanza del necessario apparato organizzativo per sostenerle e portarle a buon fine.

Allo stesso tempo, tutti e ognuno di voi dovete tener presente che essere un giovane comunista, appartenere alla Unione dei Giovani Co­munisti, non è una grazia che qualcuno vi concede, né una grazia che voi concedete allo Stato o alla Rivoluzione. Appartenere all’Unione dei Giovani Comunisti deve essere il pili alto onore di un giovane della società nuova. Deve essere un onore per chi lotta in ogni momento della sua esistenza e l’onore di mantenere alto il proprio nome indivi­duale nel grande nome dell’Unione dei Giovani Comunisti.

In questo modo avanzeremo ancora più rapidamente. Abituandoci a pensare come massa, ad agire sulle iniziative che ci provengono dal­la classe operaia e sulle iniziative dei nostri massimi dirigenti; e allo stesso tempo agire sempre come individui, sempre preoccupati dei no­stri stessi atti, costantemente preoccupati di non macchiare il nostro nome né quello dell’associazione cui apparteniamo.

Dopo due anni possiamo ricapitolare e osservare quali sono stati i risultati di questo compito.

Vi sono molti successi nella vita dell’Unione dei Giovani Comu­nisti, e uno dei più importanti, dei più spettacolari, è stato quello del­la difesa.

I giovani che per primi – alcuni fra loro – si arrampicarono sui cinque picchi del Turquino,(3) quelli che si arruolarono subito in varie organizzazioni militari, tutti quelli che impugnarono il fucile nei mo­menti di pericolo, sono stati pronti a difendere la Rivoluzione in ognu­no dei luoghi dove si aspettava l’invasione o l’azione nemica.

Ai giovani di Playa Girón è toccato l’altissimo onore di difendere li la nostra Rivoluzione, difendere li le istituzioni che abbiamo creato a costo di sacrifici, i risultati che tutto il popolo ha raggiunto con anni di lotta: tutta la nostra Rivoluzione è stata difesa lì, in settantadue ore di lotta.

L’intenzione del nemico era di creare sulla spiaggia una testa di ponte sufficientemente forte, installarvi un aeroporto che gli permet­tesse di estendere la guerra a tutto il nostro territorio, bombardarlo senza pietà, trasformare in cenere le nostre fabbriche, ridurre in pol­vere i nostri mezzi di comunicazione e distruggere la nostra agricol­tura. In una parola: seminare il caos nel nostro paese. L’azione decisa del popolo ha liquidato il tentativo imperialista in sole settantadue ore.

Giovani ancora bambini si sono coperti di gloria. Alcuni sono oggi qui come esponenti di questa gioventù eroica, di altri ci resta almeno il nome come ricordo, come sprone per nuove battaglie, per nuovi eroismi.

Nel momento in cui la difesa del paese era il compito più impor­tante la gioventù è stata presente. Oggi la difesa del paese continua ad occupare il primo posto fra i nostri doveri, ma non dobbiamo dimen­ticare che la parola d’ordine che guida i giovani comunisti è intima­mente coerente con se stessa: non si difende il paese solo con l’eser­cizio delle armi, tenendosi pronti, ma anche costruendo, con il nostro lavoro, e preparando i nuovi quadri tecnici per accelerare il suo svi­luppo negli anni futuri. Ora questo compito ha acquistato un’enorme importanza ed è sullo stesso piano dell’esercizio effettivo delle armi.

Quando sono stati posti problemi come questi, la gioventù ha già detto “presente” una volta. I giovani brigadisti hanno risposto all’ap­pello della Rivoluzione invadendo tutti gli angoli del paese. In pochi mesi e in una battaglia molto dura — in cui ci furono anche i martiri della Rivoluzione, i martiri dell’educazione — potemmo annunciare un fatto nuovo per l’America: quello che Cuba era il primo territorio d’America libero dall’analfabetismo.

Lo studio a tutti i livelli è anche oggi un compito della gioventù. Lo studio unito al lavoro, come nel caso dei giovani studenti che stan­no raccogliendo caffè nella provincia di Oriente, che dedicano le loro vacanze per la raccolta di un prodotto tanto importante per il nostro paese, per il nostro commercio estero, per noi, che consumiamo tutti i giorni una grande quantità di caffè. Questo compito è simile a quello dell’alfabetizzazione. È un compito di sacrificio che si svolge allegra­mente, in cui i compagni studenti — ancora una volta — si riuniscono sulle montagne per portarvi il loro messaggio rivoluzionario.

Questi compiti sono molto importanti perché nell’Unione dei Gio­vani Comunisti i giovani non solo danno, ma ricevono anche: e in al­cuni casi ricevono più di quello che danno. Acquisiscono esperienze nuove, una nuova esperienza del contatto umano, esperienze nuove di come vivono i nostri contadini, di come sono il lavoro e la vita nei luoghi lontani, di tutto quello che c’è da fare per elevare quelle re­gioni allo stesso livello dei luoghi più abitabili della campagna e delle città. Acquisiscono esperienza e maturità rivoluzionarie.

I compagni che svolgono i compiti di alfabetizzazione o di raccol­ta del caffè, a contatto diretto col nostro popolo, aiutandolo, lontani dai loro focolari, ricevono – si può ben dire – ancora più di quello che danno, e quello che danno è molto!

Questa è l’educazione che meglio si addice a una gioventù che si prepara al comunismo: una forma di educazione nella quale il lavoro perde la caratteristica di ossessione che ha nel mondo capitalista e di­venta un grato dovere sociale, da assolvere con allegria, fra i canti ri­voluzionari, nel più fraterno cameratismo, fra contatti umani che rin­vigoriscono gli uni e gli altri e che elevano lo spirito di tutti.

Inoltre, l’Unione dei Giovani Comunisti ha fatto molti passi a-vanti nell’organizzazione. Da quel debole embrione costituito come appendice dell’Esercito Ribelle a questa organizzazione di oggi c’è una grande differenza. Dovunque, in ogni centro di lavoro, in ogni orga­nismo amministrativo, in ogni luogo dove la loro azione può essere necessaria, ci sono i giovani comunisti che lavorano per la Rivoluzione.

Anche il progresso organizzativo deve essere considerato un ri­sultato importante dell’Unione dei Giovani Comunisti.

Tuttavia, compagni, in questo difficile cammino ci sono stati molti problemi, ci sono state grandi difficoltà, grossi errori: e non sem­pre abbiamo potuto superarli. È evidente che l’Unione dei Giovani Comunisti, come organismo minore, come fratello pili giovane delle Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate, deve attingere alle esperienze dei compagni che hanno lavorato di pili in tutti i compiti rivoluzio­nari e deve ascoltare sempre — con rispetto — la voce di quell’espe­rienza. Ma la gioventù deve creare. Una gioventù che non crea è ve­ramente un’anomalia. E all’Unione dei Giovani Comunisti è un po’ mancato lo spirito creativo. E stata, attraverso la sua direzione, troppo docile, troppo rispettosa e poco decisa nel porsi problemi propri.

Oggi questo sta finendo. Il compagno Joel ci parlava delle inizia­tive dei lavori nelle fattorie. Sono esempi di come si comincia a spez­zare la dipendenza totale — che diventa assurda — da un organismo maggiore, come si comincia a pensare con la propria testa.

Il fatto è che noi, e con noi la nostra gioventù, stiamo guarendo da una malattia, che fortunatamente non è stata troppo lunga ma che ha influito molto sul ritardo dello sviluppo dell’approfondimento ideo­logico della nostra Rivoluzione. Siamo tutti convalescenti di quel male che si chiama settarismo.

Dove conduce il settarismo? Conduce alla copiatura meccanica, alle analisi formali, alla separazione fra la direzione e le masse. Anche nella nostra Direzione Nazionale: e il riflesso si è prodotto qui, nel­l’Unione dei Giovani Comunisti.

Se noi – anche disorientati dal fenomeno del settarismo – non riuscivamo ad ascoltare la voce del popolo, che è la voce più saggia e orientatrice, se non riuscivamo ad ascoltare i palpiti del popolo per poterli trasformare in idee concrete, in direttive precise, non potevamo certo dare quelle direttive all’Unione dei Giovani Comunisti. E dato che la dipendenza era assoluta, dato che la docilità era molta, l’Unione dei Giovani Comunisti navigava come una barchetta alla deriva, gui­data dal barcone: le nostre Organizzazioni Rivoluzionarie, anch’esse alla deriva.

Si producevano quindi iniziative minime, le sole che l’Unione dei Giovani Comunisti era capace di produrre, che si trasformavano a volte in grossolani slogans, in manifestazioni chiaramente mancanti di pro­fondità ideologica.

Il compagno Fidel ha  seriamente criticato quegli estremisti e quelle espressioni molto note a tutti voi come: “le ORI sono la can­dela…,” “siamo socialisti, avanti e avanti…” Tutte quelle cose, che Fidel criticava e che voi conoscete bene, erano il riflesso del male che gravava sulla nostra Rivoluzione.

Oramai siamo usciti da quella fase. L’abbiamo completamente li­quidata. Tuttavia gli organismi vanno sempre un po’ pili lentamente. E come se un male avesse tenuto una persona nell’incoscienza. Quando poi il male cede, la mente recupera la sua chiarezza, ma le membra non coordinano ancora i loro movimenti. I primi giorni dopo aver la­sciato il letto, il procedere è insicuro, ma a poco a poco si va acqui­stando una nuova sicurezza. Su questa strada siamo noi.

Dobbiamo perciò definire e analizzare obiettivamente i nostri or­ganismi per continuare a purificarli. Tenere presente, per non cadere, per non inciampare e cadere al suolo, che camminiamo ancora con passo vacillante. Conoscere le nostre debolezze per liquidarle e acqui­stare nuova forza.

Questa mancanza di una propria iniziativa è dovuta al misco­noscimento, per un certo tempo, della dialettica che muove gli orga­nismi di massa e all’aver dimenticato che organismi come l’Unione dei Giovani Comunisti non possono essere semplicemente di direzio­ne, non possono essere qualcosa che emana sempre direttive alle basi senza ricevere niente da loro.

Si pensava che l’Unione dei Giovani Comunisti e tutte le organiz­zazioni di Cuba fossero organizzazioni di una sola linea. Una sola linea che andava dal vertice alla base, ma che non aveva un cavo di ritorno per trasmettere le comunicazioni della base. Un reciproco e co­stante interscambio di esperienze, di idee, di direttive che sono le più importanti, quelle che avrebbero inquadrato il lavoro della nostra gio­ventù.

Nello stesso tempo si sarebbero potuti individuare i punti in cui il lavoro era più fiacco, i punti di maggiore debolezza.

Vediamo ancora come i giovani, quasi degli eroi da romanzo, sono capaci di offrire la loro vita cento volte per la Rivoluzione, vediamo come, se chiamati a svolgere qualsiasi compito concreto o sporadico, sono pronti a marciare in massa verso quel compito. Tuttavia, a volte mancano al loro lavoro perché hanno una riunione dei Giovani Co­munisti, o perché si sono ritirati tardi la sera prima per discutere qual­che iniziativa dei Giovani Comunisti, o semplicemente non vanno al lavoro perché no, senza giustificazione.

Quando si osserva una Brigata di Lavoro Volontario e si suppone che vi siano dei Giovani Comunisti, in molti casi non ve ne sono. Non ce n’è uno. Il dirigente doveva andare a una riunione, l’altro era ma­lato, l’altro non era informato. Il risultato è che l’azione fondamentale, l’azione di avanguardia del popolo, l’azione di esempio vivente che smuove e porta avanti tutti – come hanno fatto i giovani di Playa Girón – non si ripete nel lavoro. La serietà che deve avere la gioventù di oggi per affrontare i grandi impegni – di cui il maggiore è la co­struzione della società socialista – non si riflette nel lavoro concreto.

Vi sono grandi debolezze e bisogna lavorarci sopra. Bisogna orga­nizzare, individuare il punto dove duole, il punto dove ci sono debo­lezze da correggere e lavorare su ognuno di voi per porre bene in chiaro nelle vostre coscienze che non può essere un buon comunista colui che pensa alla Rivoluzione solo quando arriva il momento del sacrificio, del la battaglia, dell’avventura eroica, di ciò che esce dal volgare e dal quotidiano, mentre nel lavoro è mediocre o peggio.

Come può avvenire questo se voi avete già il nome di Giovani Co­munisti, nome che noi, organizzazione dirigente, partito dirigente, an­cora non abbiamo? Voi che dovete costruire un futuro in cui il lavoro sarà la massima dignità dell’uomo, un dovere sociale, un piacere che si dà all’uomo, un futuro in cui il lavoro sarà creativo al massimo e tutti dovranno essere interessati al loro lavoro e a quello degli altri, e al­l’avanzamento della società, giorno per giorno?

Com’è possibile che voi, che già oggi avete questo nome, disdegna­te il lavoro? Qui c’è una mancanza. Una mancanza nell’organizzazione, nella chiarificazione, nel lavoro. Una mancanza, inoltre, umana. A tutti noi – a tutti, credo – piace molto di pili ciò che rompe la monotonia della vita, ciò che bruscamente, ogni tanto, fa sentire a ognuno il pro­prio valore, il valore che si ha nella società.

Immagino, per esempio, l’orgoglio di quei compagni che si trova­vano in una batteria antiaerea a difendere la loro patria dagli aerei ne­mici ed a cui toccava d’un tratto la fortuna di vedere i propri proiettili raggiungere l’aereo nemico. Uno di quei momenti che non si dimen­ticano mai, e i compagni cui è toccato di vivere quell’esperienza non la dimenticheranno mai.

Ma noi dobbiamo difendere la nostra Rivoluzione, ed è quello che facciamo tutti i giorni. E per poterla difendere bisogna costruirla, fortificarla con quel lavoro che oggi non piace alla gioventù, o che per­lomeno è da essa considerato come l’ultimo dei suoi doveri, perché con­serva ancora la mentalità antica, la mentalità del mondo capitalista, e cioè che il lavoro è, si, un dovere, una necessità: ma un dovere e una necessità tristi.

Perché accade questo? Perché non abbiamo ancora dato al lavoro il suo vero senso. Non siamo stati capaci di unire il lavoratore con l’og­getto del suo lavoro; ed anche di dare al lavoratore la coscienza del­l’importanza che ha l’atto creativo che giorno per giorno egli compie.

Il lavoratore e la macchina, il lavoratore e l’oggetto su cui si eser­cita il lavoro sono ancora due cose differenti, antagoniste. In questo senso bisogna lavorare, per formare nuove generazioni che abbiano il massimo interesse a lavorare e sappiano trovare nel lavoro una fonte per­manente di nuove emozioni. Fare del lavoro qualcosa di creativo, qual­cosa di nuovo.

Questo è forse il punto pili fiacco della nostra Unione dei Giovani Comunisti. Per questo insisto, e nell’allegria dei festeggiamenti di questo anniversario torno a porre la piccola goccia di amarezza per toccare il tasto sensibile, per fare che la gioventù reagisca.

Oggi al Ministero si è tenuta un’assemblea per discutere l’emula­zione. Molti di voi probabilmente hanno già discusso dell’emulazione nei loro centri di lavoro e già hanno letto il tremendo documento che sta circolando. Ma qual è, compagni, il problema dell’emulazione? Il problema è che l’emulazione non può funzionare con dei documenti che la regolano, la ordinano e le danno una forma. Il regolamento e la forma sono necessari per poter poi paragonare il lavoro svolto dalla gente entusiasta che si sta emulando.

Quando due compagni, ognuno su una macchina, si emulano a vicenda per costruire di pili, dopo un certo tempo cominciano a sen­tire la necessità di qualche regolamento per determinare quale dei due produce di più con la sua macchina, la quantità del prodotto, le ore di lavoro, il modo in cui ognuno lascia la macchina, in cui ne tiene cura… molte cose. Ma se invece di trattarsi di due compagni che ef­fettivamente si emulano ai quali noi diamo un regolamento, appare un regolamento per altri due che stanno pensando a quando arriva l’ora di smontare per andarsene a casa, a che serve il regolamento ? A quale funzione adempie?

In molti casi stiamo facendo regolamenti e dando una forma a qualcosa che non esiste. La forma deve avere un contenuto: il regola­mento, in questi casi, deve essere ciò che definisce e limita una situa­zione già creata. Il regolamento dovrebbe essere la conseguenza del­l’emulazione – che vuole essere attuata in modo anarchico ma entu­siasta, straripante – per tutti i centri di lavoro di Cuba. In quel caso la necessità di regolare l’emulazione sorgerebbe automaticamente.

In questo modo abbiamo trattato molti problemi, e in questo modo abbiamo deformato molte cose. E quando in quell’assemblea ho do­mandato perché non era presente, o quante volte era stato presente il segretario dei Giovani Comunisti, ho saputo che c’era stato alcune volte, poche, e che i Giovani Comunisti non c’erano stati mai.

Tuttavia nel corso dell’assemblea, discutendo questi ed altri pro­blemi, i Giovani Comunisti, il nucleo, la Federazione delle Donne e i Comitati di Difesa, e il Sindacato, naturalmente, tutti si sono entusia­smati. Tutti perlomeno hanno provato un rimorso interiore, un senso di amarezza e un desiderio di migliorare, di dimostrare che erano ca­paci di fare quello che ancora non era stato fatto: smuovere la gente. Allora, d’un tratto, tutti si sono impegnati a fare che nel Ministero si diffondesse l’emulazione a tutti i livelli, a discutere il regolamento, do­po aver stabilito le emulazioni, e a venire nel giro di quindici giorni a presentare un fatto concreto, con tutto il Ministero impegnato nel­l’emulazione.

Ed è questa la mobilitazione! La gente ha capito e ha smentito interiormente – perché ognuno di quei compagni è un grande com­pagno – che ci fosse qualcosa di fiacco nel suo lavoro. Ha sentito la sua dignità ferita e si è posto decisamente a rimediare. Ecco cosa bisogna fare. Tenere presente che il lavoro è la cosa pili importante. Perdona­temi se insisto ancora una volta, ma il fatto è che senza lavoro non c’è niente. Tutta la ricchezza del mondo, tutti i lavori che ha l’uma­nità, sono niente pili che lavoro accumulato. Senza il lavoro non può esistere niente. Senza il lavoro extra che crea pili eccedenze per nuove fabbriche, per nuove installazioni sociali, il paese non avanza. E per forti che siano i nostri eserciti avremo sempre un ritmo di crescita len­to. Bisogna finirla con questo. Finirla con i vecchi errori, renderli di pubblico dominio, analizzarli dovunque e quindi correggerli.

Ora vorrei dire, compagni, qual è la mia opinione, l’opinione di un dirigente nazionale delle ORI, su cosa deve essere un giovane comu­nista: vediamo se siamo tutti d’accordo.

Io credo che la prima cosa che deve contraddistinguere un giovane comunista sia l’onore che prova ad esserlo. Quell’onore che lo porta a mostrare a tutti la sua qualità di giovane comunista, che non si esau­risce nella clandestinità, che non si riduce a una semplice formula, ma anzi viene espresso in ogni momento, perché esce dall’anima, e il gio­vane comunista ha interesse a mostrarlo perché per lui è un orgoglio.

Insieme a questo, un grande senso del dovere verso la società che stiamo costruendo, verso i nostri simili come esseri umani e verso tutti gli uomini del mondo.

Questo è qualcosa che deve caratterizzare il giovane comunista. Oltre a questo, una grande sensibilità di fronte a tutti i problemi, una grande sensibilità di fronte all’ingiustizia, spirito anticonformista ogni volta che sorga qualcosa che non va, chiunque lo abbia detto. Appro­fondire tutto ciò che non si capisce. Discutere e chiedere chiarimenti di ciò che non è chiaro. Dichiarare la guerra al formalismo, a tutti i tipi di formalismo. Essere sempre aperto a ricevere le nuove esperienze in modo da conformare la grande esperienza dell’umanità, che da molti anni avanza sul sentiero del socialismo, alle condizioni concrete del nostro paese, alle realtà esistenti a Cuba: e pensare – tutti e ognuno – come cambiare la realtà, come migliorarla.

Il giovane comunista deve proporsi di essere il primo in tutto, lot­tare per essere il primo, e sentirsi infastidito quando in qualcosa oc­cupa un altro posto. Lottare per migliorare, per essere il primo. È chia­ro che non tutti possono essere il primo, ma essere fra i primi, nel gruppo di avanguardia si. Essere un esempio vivente, essere lo spec­chio dove si guardano i compagni che non appartengono alla Gioventù Comunista, essere l’esempio cui possano guardare gli uomini e le don­ne di età più avanzata che hanno perduto quel certo entusiasmo gio­vanile, che hanno perduto la fede nella vita e che di fronte allo stimolo dell’esempio reagiscono sempre bene. Questo è un altro compito dei Giovani Comunisti.

Poi un grande spirito di sacrificio, uno spirito di sacrificio non solo nelle giornate eroiche, ma per ogni momento. Sacrificarsi per aiu­tare il compagno nei piccoli compiti affinché possa svolgere il suo la­voro, affinché possa compiere il suo dovere nella scuola, nello studio, affinché possa migliorare in qualsiasi modo. Stare sempre attento a tutta la massa umana che lo circonda.

In sostanza si impone al giovane comunista di essere essenzialmente umano, essere tanto umano da accostarsi al meglio dell’uomo; purificare il meglio dell’uomo per mezzo del lavoro, dello studio, dell’esercizio continuo della solidarietà con il popolo e con tutti i popoli del mondo; sviluppare al massimo la sensibilità fino a sentire l’angoscia ogni volta che in qualsiasi angolo del mondo viene assassinato un uomo e fino a sentirsi entusiasta ogni volta che in qualsiasi angolo del mondo si in­nalza una nuova bandiera di libertà.

Il giovane comunista non può sentirsi limitato dalle frontiere di un territorio: il giovane comunista deve praticare l’internazionalismo proletario e sentirlo come cosa propria. Tenere presente, come dobbia­mo tenere presente noi aspiranti comunisti, qui a Cuba, che si è un esempio reale e palpabile per tutta la nostra America, e più ancora che per la nostra America, per altri paesi del mondo che lottano anche in altri continenti per la loro libertà, contro il colonialismo, contro il neo­colonialismo, contro l’imperialismo, contro tutte le forme di oppressione dei sistemi ingiusti. Tenere sempre presente che siamo una fiaccola ac­cesa, che siamo lo stesso specchio che ognuno di noi individualmente è per il popolo di Cuba, e siamo quello specchio perché in esso si guar­dino i popoli d’America, i popoli del mondo oppresso che lottano per la loro libertà. Dobbiamo essere degni di questo esempio. In ogni mo­mento, in ogni occasione dobbiamo essere degni di questo esempio.

Questo è ciò che noi pensiamo debba essere un giovane comunista. E se ci si dicesse che siamo quasi dei romantici, che siamo degli idea­listi inveterati, che pensiamo cose impossibili e che non si può ottenere dalla massa di un popolo ciò che è quasi un archetipo umano, noi dovremmo rispondere una, mille volte che sì, sì che si può, che siamo nel vero, che tutto il popolo può avanzare, liquidare le piccolezze uma­ne, come a Cuba si è andato facendo in questi quattro anni di Rivolu­zione, perfezionarsi come noi ci perfezioniamo giorno per giorno, li­quidando intransigentemente tutti coloro che restano indietro, che non sono capaci di marciare al ritmo in cui marcia la Rivoluzione cubana.

Deve essere così, deve essere cosi e cosi sarà, compagni. Sarà co­sì perché voi siete Giovani Comunisti, creatori della società perfetta, esseri umani destinati a vivere in un mondo nuovo dove tutto ciò che è vecchio, decrepito, tutto ciò che rappresenta la società le cui basi sono state appena distrutte, sarà definitivamente scomparso.

Per raggiungere questo bisogna lavorare tutti i giorni, lavorare nel senso interiore di perfezionamento, di aumento delle conoscenze, di aumento della comprensione del mondo che ci circonda. Indagare, ve­rificare e conoscere bene il perché delle cose e porsi sempre i grandi problemi dell’umanità come problemi propri.

Così, a un certo momento, un giorno qualsiasi degli anni che ver­ranno – dopo aver sopportato molti sacrifici, certo, e dopo esserci visti chissà quante volte sull’orlo della distruzione – dopo aver visto forse le nostre fabbriche distrutte e dopo averle ricostruite nuovamente, dopo aver assistito all’assassinio, alla strage di molti di noi e aver ricostruito ciò che sarà stato distrutto, alla fine di tutto questo, un giorno qual­siasi, quasi senza rendercene conto, avremo creato, insieme agli altri popoli del mondo, la società comunista, il nostro ideale.

Compagni, parlare alla gioventù è un compito molto grande. Uno si sente capace di trasmettere alcune cose perché avverte la comprensione della gioventù. Ci sono molte cose che vorrei dirvi: di tutti i nostri sforzi, i nostri affanni. Di come molti di essi si infrangono di fronte alla realtà quotidiana e come tuttavia bisogna tornare ad affrontarli. Dei momenti di fiacchezza e di come il contatto con il popolo – con gli ideali e la purezza del popolo – ci infondono nuovo fervore ri­voluzionario.

Ci sarebbero molte cose di cui parlare. Ma dobbiamo anche com­piere i nostri doveri. E ne approfitto per spiegarvi, con tutta la mali­gnità che vorrete riscontrare, perché devo accomiatarmi da voi. Devo accomiatarmi da voi perché vado a compiere il mio dovere di lavoratore volontario in una tessitura. Stiamo lavorando lì già da qualche tempo. Stiamo cercando di emulare l’Impresa Consolidata delle Filande e dei Tessuti Lisci che lavora in un’altra tessitura, e la Giunta Centrale della Pianificazione che lavora in un’altra ancora.

Voglio dirvi onestamente che il Ministero dell’Industria è l’ultimo, nell’emulazione, e dobbiamo fare uno sforzo maggiore, più grande, co­stantemente ripetuto, per avanzare, per riuscire a fare quello che noi stessi diciamo: essere i primi, aspirare ad essere i primi perché ci fa male essere gli ultimi nell’emulazione socialista. Il fatto è che è successo semplicemente quello che è successo a molti di voi: questa emulazione è fredda, un po’ inventata, e non abbiamo saputo entrare in contatto diretto con la massa dei lavoratori dell’industria. Domani terremo una assemblea per discutere questi problemi e cercare di risolverli tutti, di trovare i punti d’unione, di stabilire un linguaggio comune, di assoluta identità, fra i lavoratori di quell’industria e noi lavoratori del Ministero. Dopo aver ottenuto questo sono sicuro che aumenteremo di molto il rendimento e che potremo perlomeno lottare onorevolmente per i pri­mi posti.

In ogni caso, all’assemblea del prossimo anno vi diremo i risultati. A quest’altr’anno.

Note:

* Discorso tenuto durante la commemorazione del II anniversario della unificazione del movimento giovanile, il 20 ottobre 1962.

1) Guevara creò il Dipartimento dell’istruzione dell’Esercito Ribelle alla cui dire­zione restò sino alla fine del 1960. .
2) Vedi n. 4, “Popolo e Governo devono essere una cosa sola” e “La gioventù e la Rivoluzione.”
3) Il Pico Turquino è la più alta montagna di Cuba (2005 metri); e situato nella Sierra Maestra. Vedi n. 1, p. 65 del volume I.

Che Guevara: “Cosa dev’essere un giovane comunista”ultima modifica: 2018-04-07T14:57:37+02:00da eles-1966
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